Il 17 Aprile si terrà in Italia il referendum promosso da nove consigli regionali e appoggiato da varie associazioni ambientaliste. Il referendum conterrà un solo quesito referendario, che sarà:
“Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”
Perchè il referendum sia valido deve andare a votare il 50%+1 degli aventi diritto. Se vinceranno il no o l’astensione, tutto resterà invariato. In caso di vittoria del si, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente (che prevede che le trivellazioni possono continuare finchè il giacimento è economicamente sfruttabile, a discrezione di chi estrae). La conseguenza per i giacimenti interessati sarà che la concessione non potrà essere rinnovata (anche se c’è ancora gas o petrolio) quando scadranno i contratti. Oggi la legge prevede che la prima concessione sia di 30 anni, la seconda di 10 e le successive di 5. Se dovesse vincere il si, i giacimenti interessati dovranno quindi chiudere con tempistiche diverse (a seconda della data della prima concessione) tra i 5 e i 10 anni.
Il quesito riguarda solo i giacimenti situati entro le 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri) e non riguarda i giacimenti in terra. Il quesito è l’unico rimasto in piedi di 6 originari quesiti referendari. Dieci consigli regionali (Abruzzo, Basilicata, Sardegna, Marche, Puglia, Campania, Molise, Veneto, Calabria e Liguria) avevano promosso sei quesiti referendari riguardanti la ricerca e l’estrazione degli idrocarburi (l’Abruzzo si è ritirato successivamente). La cassazione ha esaminato i quesiti l’8 Gennaio dichiarandone ammissibile solo uno, perchè gli altri sono stati recepiti dalla legge di stabilità.
Chiaramente le regioni contestano allo stato di aver legiferato su una materia che è di competenza delle regioni e hanno fatto ricorso (presentando un conflitto di attribuzione), che è stato bocciato il 9 Marzo.
Le ragioni di chi è a favore del si:
Secondo i vari comitati NO-TRIV il referendum ha per prima cosa un valore politico. Si vuole dare il segnale in Europa di dire “basta alle energie fossili” per iniziare a produrre l’energia tramite le rinnovabili (e incentivare le auto elettriche). Le associazioni ambientaliste temono inoltre che in italia si verifichino disastri ambientali come quello del golfo del Messico dell’Estate del 2010, in cui quasi 800 milioni di litri di greggio furono liberati in mare a seguito dell’esplosione di una piattaforma. Alcuni comitati inoltre affermano che la vista delle piattaforme offshore danneggia il turismo.
Greenpeace ha inoltre pubblicato uno studio dell’ISPRA (dal titolo: Trivelle Fuorilegge, a cui è seguita la risposta di ottimisti e razionali) su come alcuni dei 130 impianti attualmente in funzione in Italia, abbiano superato -seppur di poco- i limiti di legge stabiliti per gli agenti inquinanti. Su questo punto è importante osservare che nè greenpeace nè ottimisti e razionali hanno pubblicato i dati originali ma solo le loro opinioni su di essi.
Le ragioni di chi è a favore del NO:
Il comitato per il No è quello di Ottimisti e Razionali, presieduto da Gianfranco Borghini. Il comitato argomenta che, continuando con l’estrazione, l’Italia non deve importare ulteriormente petrolio dall’estero (il paese soddisfa attualmente solo il 10% del fabbisogno di gas e greggio), che risulta in un minor transito di petroliere nei nostri mari. Inoltre una vittoria del si, causerebbe un crollo dell’occupazione per la perdita di posti di lavoro nei prossimi 10 anni nelle piattaforme interessate (solo in provincia di Ravenna 7000 persone). Il comitato critica infine lo strumento del referendum, per loro sbagliato per un quesito del genere, e ritenuto più un pretesto di alcune regioni di rivendicare la propria autonomia. Il comitato afferma infine che disastri come quello del Golfo del Messico non si possono verificare.
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