La prima cosa da dire è che, nonostante che nella pubblicistica si parli di referendum sulle trivelle, non si tratta di autorizzare o fermare nuove trivellazioni. Si tratta solo di decidere se le piattaforme di estrazione di petrolio e di gas attualmente attive nei nostri mari (entro le 12 miglia) potranno o no avere, nel caso lo richiedano, un prolungamento delle concessioni di estrazione, ovvero se potranno o no estrarre tutto il petrolio e il gas presente in quei giacimenti.
Un’ altra cosa che non c’entra niente con il tema del referendum è la questione del cambiamento climatico e degli impegni che scaturiscono della conferenza di Parigi. Siamo tutti convinti che il cambiamento climatico sia una sfida serissima e che veda fatto ogni sforzo per accelerare la transizione verso un sistema energetico a basso contenuto di carbonio, che riduca drasticamente le attuali emissioni di CO2. In Europa molta strada è stata fatta su questo terreno e l’ Italia è già una dei Paesi più impegnati su questo fronte con l’ eccellente livello di penetrazione raggiunto dalla fonti rinnovabili nella produzione elettrica (oltre il 43% nel 2014). Dobbiamo continuare su questa strada proseguendo le installazioni di impianti ad energia rinnovabile e accelerando lo sviluppo di tecnologie (come quelle dello stoccaggio dell’ energia elettrica) che permettano di superare il problema della discontinuità di funzionamento dell’ eolico e del solare. Ma tutti sappiamo anche molto bene che ci sono settori, come quello dei trasporti e degli usi termici, nei quali la transizione ad un sistema che prescinda dalle fonti fossili richiederà parecchi decenni. Ciò significa che, nel frattempo, i fabbisogni energetici di questi settori continueranno ad essere soddisfatti prevalentemente dal petrolio e dal gas. Allora scegliere di non estrarre più il nostro petrolio e gas nazionale comporterà semplicemente un aumento delle nostre importazioni di petrolio e di gas corrispondente alle quantità non estratte.
Chiediamoci adesso se sostituire la nostra produzione nazionale di petrolio e di gas con nuove importazioni giova al nostro Paese o al nostro pianeta. In entrambi i casi la risposta è negativa: l’ Italia avrebbe solo dei danni, con perdita di posti di lavoro, riduzione di proventi da royalties e tasse, aumento della dipendenza energetica dall’ estero e peggioramento della bilancia dei pagamenti. Ma anche il pianeta ne avrebbe un danno: ammesso che la estrazione all’ estero comportasse lo stesso impatto ambientale che da noi (ma non ovunque gli standard ambientali sono così elevati come in Europa) si aggiungerebbero comunque le emissioni dei CO2 e di inquinanti legate al trasporto, in misura tanto maggiore quanto più lontane fossero le aree di provenienza. Neppure dal punto di vista dei rischi di incidenti ci sarebbe alcun vantaggio, perché aumenterebbe il traffico di petroliere che, come l’ esperienza dimostra, rappresentano il maggior pericolo di disastri ambientali legati allo sversamento di petrolio.
Dunque per regioni economiche, ambientali e di sicurezza energetica (ricordiamo che i prodotti energetici provengono spesso da aree del mondo politicamente instabili) occorre votare NO al quesito che ci sarà proposto. Sulla linea del NO si è schierato anche Romano Prodi che ha parlato addirittura di suicidio nazionale (v.http://www.firstonline.info/News/2016/03/20/prodi-su-referendum-trivelle-e-un-suicidio-/MTVfMjAxNi0wMy0yMF9GT0w ) .
Pietro Barbucci
25 Marzo 2016
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