Laudato si’: un dialogo difficile

13 Novembre 2015

Laudato si’: un dialogo difficile

di Francesco Oriolo

 L’enciclica “LAUDATO SI’” è composta principalmente da due filoni : uno di carattere mistico e l’altro  riguarda l’egoismo dell’uomo che perde di vista il fine del creato. Il primo parte dalle creature come opera di Dio e vede in ogni creatura il riflesso del Creatore. Non tratto questo filone, perché si cadrebbe facilmente nella contrapposizione tra creazionisti ed evoluzionisti e non ho competenze specifiche in questo campo. Sul secondo punto ho esperienza e cercherò di portare argomentazioni scientifiche per confutare alcuni punti relativi ai cambiamenti climatici, alla decrescita economica e allo sviluppo tecnico scientifico e più in generale allo sviluppo industriale accelerato.  Papa Francesco paragona la Terra a una sorella maltrattata, io ripercorrendo la storia dell’uomo (da Homo naledi, Homo habilis, Homo sapiens e noi) penso più alla matrigna di Cenerentola. Sia  essa sorella o matrigna, la terra e l’uomo sono i sopravvissuti della stesso incidente nucleare, avvenuto circa 4.5 miliardi di anni fa e dopo circa altrettanti anni il Sole si spegnerà. L’immagine di matrigna me la porto dietro da ragazzo, quando vedevo i contadini del mio paese tornare con la zappa sulle spalle e la disperazione negli occhi perché il raccolto era andato male. Questi dannati della terra non  davano  la colpa alle banche, perché a Crosia negli anni 1950 non esistevano banche; ma erano molto diffidenti nei confronti dell’arciprete, perché  aveva bruciato i  loro miseri risparmi con l’apertura fallimentare e dolosa di una Cassa rurale.  Troppa responsabilità si richiede a questo povero primate che è l’uomo e poi è veramente libero?  L’uomo sapiens, nella sua evoluzione nell’ordine dei primati, crede di dominare ciò che in realtà lo domina, di essere libero di scegliere ciò che in realtà lo determina.  Per sintetizzare riporto la proposizione di Spinoza: “Ogni cosa, per quanto in essa, si sforza di perseverare nel suo essere”. Anche nella semplice cellula c’è un’intelligenza, come capacità di adattarsi all’ambiente. Su queste basi è difficile dialogare tra credenti e non-credenti, tra monoteisti e liberi pensatori, tra materialisti e idealisti.

Per quanto riguarda il secondo filone, l’approccio di Papa Francesco è molto interessante, per l’abilità con cui usa la scienza dei sistemi complessi, nel vedere il mondo intimamente  interconnesso. L’uomo dovrebbe captare i segnali dinamici che vengono dall’ambiente e porre rimedio agli squilibri, come amministratore responsabile dei beni della terra. Se invece l’uomo fosse solo un componente di primo livello del sistema, come la mettiamo? Nel modello molto interessante di Papa Francesco è importante descrivere adeguatamente i sotto-sistemi, le sue funzione  e le retroazioni. Sui sottosistemi ci sono valutazioni divergenti, come sui cambiamenti climatici, sulla decrescita serena, sul ruolo dalla scienza e della tecnologia e sullo sviluppo industriale e liberale della nostra civiltà.  Nella tesi 46 si sostiene che ”la crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero progresso integrale e un miglioramento della qualità della vita” in evidente contrasto con l’evidenza empirica e la rivoluzione industriale e liberale  che inizia con l’Illuminismo a metà del 1700.

Con riferimento al clima, nell’enciclica é abbracciata la scienza ufficiale delle Nazioni Unite, nella vulgata dei rapporti dell’IPPC, in formato “ Summary for policy Makers”, perdendo la complessità del corposo lavoro dei ricercatori. E’ vero che esiste un consenso scientifico molto consistente, nell’attribuire i cambiamenti del clima all’attività umana e soprattutto alle emissioni di gas serra. Gli estensori dei rapporti (tanti burocrati e pochi scienziati) “ Summary for policy Makers”  non ammettono discussioni, considerano con sufficienza coloro che, con buoni argomenti scientifici evidenziano il contributo della natura che non è potuto diventare irrilevante in pochi anni. Esso ha funzionato da motore della storia dei cambiamenti climatici del pianeta e la storia della “Mer de Glace” del monte Bianco la conosco bene, perché amo questo ghiacciaio e osservo i suoi movimenti. Il dubbio scientifico dovrebbe prevalere, perché la conoscenza è in continuo divenire e le conoscenze scientifiche sul clima sono affette da notevoli incertezze, soprattutto per i dati storici del pianeta. Queste incertezze dovrebbero non solo suggerire di esprimere pareri prudenti (vedi la criminalizzazione come sostanza cancerogena della nostra bistecca chianina da un’altra Agenzia dell’ONU, assimilata a un pessimo wurstel tedesco), ma di investire in ricerche per conoscere meglio gli eventi del passato e per acquisire dati certi per interpretare il presente e per fare previsioni realistiche per il futuro e gestire correttamente effetti dei cambiamenti climatici,  mettendo a confronto due strategie:  la strategia della mitigazione e la strategia dell’adattamento, mediante un’analisi costo/benefici.

La strategia della mitigazione  é  quella proposta dei burocrati dell’IPPC  e adottata in UE; in Europa, con la riduzione del 20% delle emissioni di gas serra al 2020, si riducono le emissioni antropiche totali meno del 3% e le emissioni totali meno di 0.1%.  E’ un metodo poco efficiente e gravoso per l’economia ed è attuato con complicati e burocratici processi di controllo, con una burocrazia costosa e inutile.

La strategia dell’adattamento, indipendentemente dai danni conseguenti al cambiamento climatico antropico o naturale, identifica gli effetti dannosi più probabili e le aree più vulnerabili e studia gli interventi di protezione, con un’opportuna scala di priorità. Sono interventi mirati, con tecnologia nota e già provata, con tempi d’intervento compatibile con il verificarsi dei danni, con alta probabilità di successo su problemi già esistenti.

Sull’argomento sono interessanti le analisi del “Copenhagen Consensus Center “, fondato da B. Lomborg, dove hanno  lavorato alcuni tra i migliori economisti  del mondo e ben 7 Premi Nobel per trovare soluzioni più efficaci alle sfide globali dei cambiamenti climatici. Questa ricerca basata sull’analisi costi/benefici mostra ai politici e ai burocrati come spendere bene 1$ dal punto di vista ambientale, sociale, economico e stabilire un ordine di priorità su prove certe. Ad esempio, se investiamo 0.5% del PIL in ricerche su tecnologie energetiche, per ogni $ speso se ne ricavano circa 11$. Se spendiamo lo 0.05% del PIL su specifici siti, si ha che i benefici superano di gran lunga i costi. Invece, gli obiettivi globali di riduzione delle emissioni di carbonio, affinché la temperatura non cresca più di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali sono molto costosi rispetto ai benefici a causa di limitate fonti energetiche a basso contenuto di emissioni di carbonio, che  restituiscono all’investimento meno di 1$ per ogni $ speso.

L’UE, leader del politicamente corretto e della strategia di mitigazione, è l’unica realtà politica che si prefigge di controllare il clima, impegnandosi a ridurre le emissioni di un 10% delle  emissioni  globali, deprimendo i consumi energetici e penalizzando la competitività economica delle sue industrie rispetto a paesi che perseguiranno una politica realistica e adattativa  rispetto al contenuto  di carbonio. Il segretario  di Stato USA Kerry afferma che “dobbiamo essere elastici e creativi: come Leonardo da Vinci dobbiamo scrivere con una mano e disegnare con l’altra”.

Nelle tesi 192 e 193, la teoria della decrescita di Latouche si coniuga con la visione pauperistica di Papa Francesco.  La tesi 192 riprende il programma operativo di Latouche con ” …forme intelligenti e redditizi di utilizzo, di recupero funzionale e di riciclo”.  Nella tesi 193 si abbraccia il credo di Latouche con  “ Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altri parti.”

I sostenitori di una cultura parsimoniosa dovrebbero spiegare come un calo del discutibile PIL, a causa della crisi economica, non ha portato benessere sociale e  felicità; ma gli effetti di riduzione del reddito non si sono distribuiti equamente sulla popolazione ma hanno colpito in modo drammatico la fascia più povera. La riduzione del reddito nazionale non si traduce automaticamente in una produzione più pulita o che utilizzi tecnologie rinnovabili. Spesso si traduce in un processo di regressione industriale in cui tecnologie obsolete e con maggiore impatto ambientale vengono preferite, come é avvenuto in Germania in questi anni di crisi con il ritorno a vecchie o nuove centrali a carbone.

Il pregiudizio sul paradigma tecnico-scientifico si manifesta in tutta l’enciclica e mi sembra molto vicino ad alcune prospettive antiscientifiche che, se da un lato rimandano al passato (Galileo, Sillabo di Papa Pio IX), dall’altra mi sembra difficile accostare al patrimonio intellettuale del cristianesimo (vedi la lettera di otto scienziati al giornale Avvenire sulla “globalizzazione del paradigma scientifico”).   Se i sostenitori della decrescita serena riflettessero sui dati della Banca Mondiale sulla povertà del mondo, si accorgerebbero che anche il “liberalismo selvaggio” e la globalizzazione hanno realizzato la moltiplicazione dei pani e dei pesci. I dati dicono che la percentuale della popolazione che viveva in condizioni di povertà estrema, ovvero con meno di 1.25$ al giorno, è crollata dal 36.4% del totale nel 1990 al 14.5 nel 2011. Nel 2012 vi erano 902 milioni di poveri (con valori aggiornati a 1.95$ a giorno), pari al 12.8% della popolazione sono scesi a 702 milioni, ossia 9.5% nel 2015. Sono ancora troppi. La lotta alla povertà, fame, malattia può essere vinta, se usiamo il potenziale innovativo come motore di sviluppo e  di  occupazione.  Sarebbe utile tornare all’idea di base dell’illuminista Diderot cioè facilitare la condivisione del sapere, perché il progresso materiale è conseguenza delle conoscenze utili. Solo lo sviluppo della scienza e della tecnologia è la chiave del nostro futuro e potrà assicurare  uno sviluppo economico durevole e equo in un mercato veramente libero.

Le tesi 123, 157 e 177 evidenziano che il papa proviene da un “paese quasi alla fine del mondo” e ha poco sperimentato la democrazia liberale. Ciò potrebbe spiegare l’avversione per l’economia liberale, paragonando chi la pratica a chi sfrutta sessualmente i bambini o abbandona gli anziani. Questo giudizio molto probabilmente è condizionato dai ricordi della guerra delle Falkland, vinta  dalla democrazia inglese contro la terribile dittatura dei generali argentini.  L’ Inghilterra é scesa in guerra contro l’Argentina per difendere la libertà e il diritto all’ autodeterminazione di una piccola popolazione britannica;  questa guerra non è  stata innescata da fini economici, ma per la difesa di un principio di etica liberale, principio che  porta  noi liberali a difendere con la spada la libertà dei cristiani massacrati dall’ISIS.

Nell’enciclica si auspicano cambiamenti radicali e non riformistici del sistema socio-economico, basati su misure di austerità e su un risparmio forzato. Grande è la fiducia che il papa ripone nello Stato [Tesi 157] ed auspica un’Autorità politica mondiale [Tesi 175] dotata di sufficiente potere coercitivo, cioè “…,azioni di controllo operativo sull’emergere di effetti non desiderati nei processi produttivi, e intervento opportuno di fronte ai rischi indeterminati o potenziali” [Tesi 177]. Quando si parla di coercizione, con una visione statalista della società  ogni democratico deve stare all’erta, perché i rischi per la nostra libertà sono dietro la porta.

Speriamo che alla Conferenza di Parigi sui Cambiamenti Climatici si affermi una soluzione operativa come quella  di Stiglitz  per proteggere l’ambiente: far pagare alla gente per intero il costo di ciò che fa, vale a dire farla pagare se inquina. Per far funzionare il sistema bisogna che tutti i Paesi del mondo introducano la stessa imposta sul petrolio, sul carbone, sul gas, sul  nucleare e sulle  rinnovabili  proporzionale alle emissioni che generano, ovvero fare pagate i ”costi esterni” o “ esternalità “  delle emissioni inquinanti, che sono i costi non inclusi nei prezzi  di mercato  e non sono assunti da chi li provoca. In questo modo sarebbero i meccanismi di mercato a far ridurre l’inquinamento e i costi per la riduzione dell’inquinamento sarebbero molto bassi. “In effetti, ne trarrebbe giovamento il paese nel suo insieme, che potrebbe utilizzare le entrate della carbon tax per ridurre altre imposte, come quelli sui risparmi, sugli investimenti o sui redditi da lavoro. L’alleggerimento di queste tasse stimolerebbe l’economia, con benefici di gran lunga maggiori rispetto al costo della carbon tax. Si tratta di un atteggiamento coerente con il principio economico generale: è meglio tassare le cose cattive ( come l’ inquinamento ) che quelle buone (come il risparmio o il lavoro)”.

L’uomo ha potuto superare i momenti di crisi, come la transizione nell’uso delle fonti primarie di energia negli ultimi due secoli, con il passaggio dalla legna al carbone, dal carbone al petrolio, grazie all’innovazione tecnologica. Così, nel secondo dopo guerra, il carbone ha dovuto cedere il suo primato al petrolio perché l’evoluzione della tecnologia del carbone non era riuscita a soddisfare le nuove necessità dell’economia dei paesi industrializzati, che richiedevano una fonte primaria più efficiente, flessibile, più pulita e facile da trasportare. Alle fonti primarie fossili si é aggiunta l’energia nucleare da fissione e ora le  nuove energie rinnovabili. Se tutte le fonti di energia primaria verranno utilizzate in modo sinergico e razionale si potrà affrontare  con successo una transizione ad una economia neutra al carbonio (The Methanol Economy, cioè un’economia basata sul metanolo, come combustibile liquido, sintetico e rinnovabile) e permettere di accedere ad un mercato libero dell’energia a quei due miliardi di persone che attualmente ne sono esclusi.  In un quadro d’uso efficiente delle risorse naturali s’inquadra la ricerca del premio Nobel della chimica nel 1994, George Olah e dei suoi collaboratori, che hanno creato le basi scientifiche e la fattibilità tecnica per il riciclo del biossido di carbonio (CO2) e per l’uso del metanolo come vettore di energia, alternativo nel lungo termine al petrolio e ai combustibili fossili.  La visione di Olah, non richiede la rivoluzione del paradigma tecnico – economico di Papa Francesco, ma solo quello  tradizionale delle fonti energetiche in lotta tra loro e valorizzare le sinergie tra le fonti primarie, mediante un eccellente vettore energetico: il metanolo. Solo considerando le fonti energetiche fortemente accoppiate e un loro uso sinergico, sarà possibile soddisfare la domanda globale di energia di una popolazione mondiale in crescita, di cui circa un quinto nel 2011 non ha avuto accesso all’energia elettrica e circa 2 miliardi e 700 mila persone hanno soddisfatto le loro esigenze energetiche con le biomasse tradizionali.

Bibliografia Essenziale

– Latouche S., Un breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008

–  Olah G.A et al., Beyond Oil and Gas: The Methanol Economy, second ed. Wiley-VCH,

     Weiheim, 2009

– Olah, G.A, et al., Chemical Recycling of Carbon Dioxide to Methanol and Dimethyl Ether: From Greenhouse Gas to Renewable, Environmentally Carbon Neutral Fuel and Synthetic Hydrocarbons, Energy, J. Org. Chem. Vol. 74, No. 2, 2009

– Papa Francesco, LAUDATO SI’: Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Edizioni Dehoniane, Bologna, 2015

–  Stiglitz J. E., La globalizzazione che funziona, Enaudi Editore, Torino, 2006

–  http://www.copenhagenconsensus.com/

–  http://disf.org/files/enciclica-scienza-avvenire.pdf

Francesco Oriolo

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