Dalla CoP21 nessuna azione concreta verso un’economia neutra al carbonio

12 Gennaio 2016

Dalla CoP21 nessuna azione concreta verso un’economia neutra al carbonio

 

Di Francesco Oriolo 

L’accordo storico alla CoP21 (Conference of Parties) di Parigi ha i connotati di una lettera d’intenti sulla politica industriale per la metà di questo secolo e non prevede nessuna azione operativa per combattere il pericoloso cambiamento climatico e avviare la transizione verso un’economia a più bassa densità di carbonio. La lettera d’intenti può essere letta come una prova generale per un governo globale, sotto la leadership americana e la benedizione papale.

Il documento è legalmente vincolante ed entrerà in vigore nel 2020, se il testo sarà ratificato da almeno 55 paesi che rappresentino il 55% delle emissioni di gas serra. Dagli accordi vincolanti richiesti dai paesi dell’UE si è passati ai nuovi contributi nazionali volontari, che verranno aggiornati ogni 5 anni. Inoltre è assente il target quantitativo di riduzione delle emissioni di gas serra da raggiungere entro il 2050. Ogni paese deve fare in modo che i nuovi contributi nazionali volontari siano aggiornati ogni 5 anni e risultino il più possibile ambiziosi tenendo conto delle responsabilità comuni ma differenziate e delle relative capacità. Questo significa che se uno stato fallisce l’obiettivo non avrà sanzioni, poiché ogni governo presenterà i suoi risultati finali e ne verrà fuori un puzzle di impegni singoli, deboli e instabili. Non c’è stata alcuna seria discussione su un impegno comune per ridurre le emissioni di carbonio. Come abbiamo visto dal Protocollo di Kyoto in poi, l’ambizione mostrata nella CoP cala nel tempo se gli accordi sono su base volontaria. Le verifiche per ora non prevedono meccanismi finanziari ed economici per controllare in modo efficiente i gas serra, ma si confermano le conclusioni della CoP15 di Copenhagen che bisogna mantenere l’aumento della temperatura media globale al disotto di 2 °C, con lo sforzo (CoP21) di raggiungere l’obiettivo più ambizioso di 1.5 °C.

In questo lustro l’umanità potrebbe bruciare una grande quantità di combustibili fossili e rendere impossibile raggiungere gli obiettivi auspicabili per il dopo 2020. La gestione delle emissioni avverrà con meccanismi di scambio di quote di emissioni (European Union Emission Trading Scheme-UE ETS), già sperimentati in Europa in attuazione del sistema cap and trade introdotto a livello internazionale dal Protocollo di Kyoto per il commercio delle emissioni di gas serra. L’Europa ha sviluppato il più grande sistema per il commercio delle emissioni al mondo, ma i risultati sono stati molto deludenti, se non fallimentari. Il fallimento dell’ETS può essere valutato dalla continua diminuzione del prezzo del carbonio dal 2008 (avvio del mercato ETS) ad oggi. I problemi presentati dagli ETS sono strutturali e connessi  con un mercato artificiale che funziona solo se c’é scarsità di titoli. Questa condizione non è stata presa in considerazione dai singoli stati membri che hanno concesso alle loro aziende un eccessivo numero di crediti, inflazionando il prezzo del titolo. Inoltre la gestione è stata pesante e onerosa per una burocrazia europea farraginosa e molto costosa; sull’efficacia del meccanismo ha inciso negativamente il comportamento opportunistico degli stati membri e le frodi facili. L’ETS è particolarmente soggetto a truffe, a causa delle procedure di calcolo poco affidabili per la certificazione, spesso non verificabile e quindi suscettibile di manipolazione. Ben note sono le truffe a carosello sull’IVA.

Con il prezzo del petrolio sui 50-70$, le emissioni di gas serra continueranno a crescere secondo lo scenario “business as usual”; senza intaccare il gratuito vantaggio competitivo ai combustibili fossili sarà molto difficile avviare una transizione verso un’economia neutra al carbonio. La CoP21 ha perso la buona occasione non solo per togliere i sussidi alle fonti fossili, che per la sola Italia sono circa 3.5 miliardi di euro, ma anche per far pagare le proprie esternalità ambientali a tutte le fonti energetiche. I costi non inclusi nel prezzo sono denominati ”costi esterni” o “esternalità” e non sono assunti da chi li provoca: per esempio, un automobilista acquista una macchina (costo diretto), si muove in città, scarica nell’ambiente gas tossici e polveri sottili e non paga nessun costo (costi esterni). Per affrontare razionalmente il problema dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici è necessario che nel costo del kWh vengano incluse le “esternalità ambientali”. Secondo il Premio Nobel Stiglitz, la soluzione per proteggere l’ambiente è semplice: far pagare alla gente per intero il costo di ciò che fa, vale a dire farla pagare se inquina. Per controllare le emissioni di anidride carbonica, il sistema migliore sarebbe quello che tutti i Paesi del mondo introducessero la stessa imposta sul contenuto di carbonio e cioè sul petrolio, sul carbone e sul gas proporzionale alle emissioni che generano. In questo modo sarebbero i meccanismi di mercato a far ridurre l’inquinamento ed i costi per la riduzione dell’inquinamento sarebbero molto bassi e come dice Stiglitz “In effetti, ne trarrebbe giovamento il paese nel suo insieme, che potrebbe utilizzare le entrate della carbon tax per ridurre altre imposte, come quelle sui risparmi, sugli investimenti o sui redditi da lavoro. L’alleggerimento stimolerebbe l’economia, con benefici di gran lunga maggiori rispetto al costo della carbon tax. Si tratta di un atteggiamento coerente con il principio economico generale: è meglio tassare le cose cattive (come l’ inquinamento) che quelle buone (come il risparmio, il lavoro, la qualità della vita e dell’ambiente)”.

La CoP è diventata solo un forum e non è la sede adatta per prendere decisioni. Essa andrebbe riprogettata, come sostiene sulla rivista Nature il team di ricercatori dell’Università di Cambridge (D.J. Mackay), dell’Università del Maryland (P. Cramton) e dell’Università di Colonia (A. Ockenfels e S. Stoft). Essi rimarcano che il successo richiede un impegno comune e non un mosaico di impegni individuali. “I negoziati devono essere progettati per riallineare gli egoismi e promuovere la cooperazione”. Nell’articolo “Price Carbon- I will if you will”, essi propongono un prezzo per il carbonio simile al meccanismo che il premio Nobel Stiglitz  sostiene da oltre 10 anni per le esternalità ambientali: farle pagare a chi le produce.

Fissare un prezzo globale del carbonio significa superare l’ingordigia connessa ai diritti di emissioni in attuazione del Protocollo di Kyoto. Ripartire equamente le emissioni è molto difficile, per esempio, se i diritti di emissioni sono valutati pro-capite, un volume enorme di denaro verrebbe giustamente trasferito dai Paesi ricchi a quelli poveri; per questo motivo sono falliti i negoziati delle 21 CoP. Inoltre i limiti delle emissioni al camino sono difficili da monitorare ed è meglio inglobarli in un prezzo globale del carbonio, così il costo del combustibile dipenderà dal contenuto di carbonio. Saranno le leggi del mercato a minimizzare i costi per raggiungere gli obblighi relativi al controllo delle emissioni di gas serra; il libero mercato è sempre  più efficiente e a minor costo rispetto a norme governative e controlli burocratici. I produttori di gas serra saranno costretti a ristrutturare e a ottimizzare il processo, o ad innovare il prodotto e migliorare la competitività tra combustibili. La politica dell’UE è da primo della classe, con un approccio molto formale e calato dall’alto, con obiettivi assunti in modo unilaterale che non tengono conto della ricaduta del costo d’impatto ambientale sulla competitività delle sue imprese e sulla ricchezza del cittadino europeo.

Un prezzo del carbonio ha il vantaggio di vedere una crescita sostanziale delle entrate del Paese, che ha il compito di riscuotere e trattener come crede le entrate del carbonio. Questo prezzo ha solo il compito di spostare il carico fiscale dalle cose buone a quelle cattive e non implica condivisione automatica degli oneri. Per questi è necessario costituire un fondo verde (Green climate fund) finanziato con responsabilità differenziate tra le nazioni. Per esempio i Paesi ricchi potrebbero metter a disposizione circa il 20% dell’introito del prezzo del carbonio per ricerca, sviluppo e innovazione che andrebbero a favore di tutti gli uomini; solo una modesta percentuale 10-20% di questa quota  potrebbe andare per interventi  di attenuazione degli effetti del cambiamento climatico nei Paesi più svantaggiati.

Un osservatore critico vede che l’Ipcc ( Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico)

descrive gli effetti del riscaldamento globale in modo catastrofista e enfatizza l’effetto antropico per creare paura e per generare un sentimento di bisogno di un governo mondiale per regolare l’attività umana. In particolare il cambiamento climatico è rappresentato dai media come fosse supportato da una teoria scientifica consolidata dalle ricerche di un’organizzazione scientifica internazionale l’Ipcc. In verità, l’Ipcc è solo un’organizzazione intergovernativa dell’ONU, con pochissimi scienziati e moltissimi esponenti scelti dalla politica. Le riunioni plenarie raccolgono scienziati, dipendenti di enti pubblici, manager di ricerca e diplomatici, che si riuniscono due volte all’anno per prendere decisioni formali. Inoltre un Ufficio di presidenza, composta dal presidente e da tre vice, può essere considerato il decisore finale e soprattutto l’estensore delle sintesi per i politici (Summary for Policy Managers). In queste sintesi si perde la complessità del corposo lavoro svolto dai ricercatori e le voci critiche  sono soppresse. Scarse sono le discussioni tra i due livelli e si considera con autosufficienza coloro che, con buoni argomenti scientifici evidenziano il contributo della natura che non può diventare irrilevante in pochi anni. In sintesi l’Ipcc è gestito da un piccolo gruppo di sostenitori del principio di precauzione, del riscaldamento globale e molto legati ai loro governi. Questo gruppo di pressione è molto efficiente nel trasferire enormi risorse finanziarie dalle tasche dei contribuenti a un’élite ristretta di istituti di ricerca e di studiosi dell’ordine di qualche miliardo di dollari annuo. La maggior parte di queste risorse sono allocate per lo sviluppo di complessi modelli di calcolo per simulare il comportamento fisico e chimico dell’atmosfera per stimare l’evoluzione del clima. Ma è noto che ogni modello ha proprie caratteristiche e dipende da numerosi parametri, che vengono fatti variare per aggiustare i risultati. Per ottenere risultati qualificati è fondamentale l’attività sperimentale in piccola e grande scala per la validazione dei modelli e per pesare correttamente i vari parametri.  Gli attuali modelli climatici sovrastimano i valori di temperatura poiché non tengono conto in modo adeguato degli effetti del vapor d’acqua e delle nubi sui gas serra. Questo significa che i modelli relativi al feedback sono inadeguati e possono avere sia effetti negativi che positivi.

La narrativa sul cambiamento climatico porta il cittadino medio ad accettare quanto gli viene  propinato per verità acquisita. In verità molto sono le voci che dissentono, alcune sostenute economicamente dall’industria dei combustibili fossili, ma altre sono voci libere e indipendenti. Tra queste ultime la voce di oltre 160 scienziati e ricercatori del settore scientifico della meteorologia e della fisica dell’atmosfera,  provenienti da 30 nazioni diverse, compreso il Prof Richard Lindzen (professore di meteorologia al MIT di Boston,USA) considerato il maggior fisico dell’atmosfera e proclamato nel 2007 “Climate Scientist”. La lettera aperta, riporta le cariche accademiche dei firmatari, è stata inviata al segretario generale dell’ONU Ban-Ki Moon; questa iniziativa  rappresenta un esempio di assunzione di responsabilità personali e non ha trovato il minimo spazio  sulla stampa in Italia. I punti trattiti sono di interesse della nostra associazione e per questo li pongo integralmente alla vostra attenzione.

Caro Segretario Generale,

La scienza del cambiamento climatico attraversa un periodo di “scoperte negative”- più impariamo su questo settore in evoluzione eccezionalmente complessa e rapida, e più ci rendiamo conto di quanto poco sappiamo. In verità la scienza non ha certezze.

Perciò, non ci sono ragioni valide per imporre decisioni costose restrittive di politica pubblica ai popoli della Terra, senza prima fornire una prova convincente che le attività umane sono la causa del pericoloso cambiamento climatico oltre a quello dovuto a cause naturali. Prima che sia intrapresa qualsiasi azione precipitosa, dobbiamo avere dati sperimentali solidi che mostrino che i recenti cambiamenti climatici differiscono sostanzialmente da quelli osservati in passato e sono ben al disopra delle normali variazioni dovuti ai cicli solari, alle correnti oceaniche, a variazione dei parametri orbitali della terra e di altri fenomeni naturali.

Noi sottoscritti, esperti in discipline legate al clima, sfidiamo l’UNCCC e i sostenitori della conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite a produrre a favore delle loro tesi prove sperimentali sul pericoloso riscaldamento globale causato dalle attività umane sui cambiamenti climatici. Proiezioni di potenziali scenari futuri ottenuti da modelli numerici non provati non possono sostituire i dati del mondo reale, ottenuti attraverso una imparziale e rigorosa indagine scientifica.

In particolare, sfidiamo i sostenitori dell’ipotesi del pericoloso cambiamento climatico dovuto all’uomo a dimostrare che:

  1. Le variazioni del clima globale negli ultimi cento anni siano significative al di fuori della fascia sperimentata nei secoli precedenti;
  2. Le emissioni di gas, come il biossido di carbonio e di altri gas (GHG) serra stanno avendo un impatto dannoso sul clima globale;
  3. Modelli basati su computer possono simulare efficientemente tutti i fattori naturali che possono influenzare il clima in modo significativo;
  4. I livelli dei mari stanno crescendo pericolosamente ad un ritmo accelerato con l’aumento delle emissioni antropiche di gas serra, minacciando perciò le piccole isole e le comunità costiere;
  5. L’incidenza crescente della malaria é dovuta al recente cambiamento climatico;
  6. La società umana e gli ecosistemi naturali non possono adattarsi al prevedibile cambiamento climatico come hanno fatto in passato;
  7. Un ritiro globale dei ghiacciai e lo scioglimento dei ghiacciai nelle regioni polari, è insolito e connesso alla crescita antropica delle emissioni di gas serra;
  8. Gli orsi polari e l’altra fauna selvatica dell’Artico e dell’Antartico non sono in grado di adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici locali, indipendentemente dalle cause di questi cambiamenti;
  9. Uragani, cicloni tropicali e altri eventi meteorologici estremi stanno aumentando in gravità e frequenza;
  10. Dati registrati da stazioni a terra sono un indicatore affidabile delle tendenze della temperatura superficiale.

Non é responsabilità degli scienziati “climate realist” dimostrare che sta avvenendo il pericoloso cambiamento climatico antropico. Piuttosto, i promotori di questa ipotesi hanno l’obbligo di dimostrare in modo convincente che i recenti cambiamenti climatici per la maggior parte non sono di origine naturale e se non facciamo nulla, ci saranno cambiamenti catastrofici. Fino a oggi essi hanno omesso di farlo e hanno solo chiesto per risolvere il problema l’assegnazione di ingenti investimenti.

Seguono le firme con le rispettive cariche accademiche

blueshift.nu./10-fragor-ban-ki-moom-cop21pcc

 

Sarebbe interessante fare un piccolo stato dell’arte sui dieci punti, per permettere alla nostra associazione di fare un buon lavoro divulgativo. Per me sarebbe interessante aprire un dibattito sul principio di precauzione, tanto caro all’Ipcc, che forzando alcuni elementi di prova hanno enfatizzato e drammatizzato il contributo antropico al cambiamento climatico.

Questo principio, in base all’articolo 15 della Dichiarazione di Rio del 1992 può essere tradotto così “: ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l’assenza di piena certezza scientifica non deve servire come pretesto per posporre l’adozione di misure efficaci, rispetto ai costi, volte a prevenire il degrado dell’ambiente”.Questo principio in pratica scavalca ogni analisi e gestione del rischio effettuato con metodo scientifico e sostituisce detti organismi con organi politici. L’applicazione di questo principio ha portato in Italia all’abbandono dell’energia nucleare di potenza, a bandire i prodotti agricoli geneticamente modificati, al problema del cosiddetto elettrosmog (vi ricordo il caso di radio vaticana) e ora alla scomunica dei combustibili fossili. L’umanità potrà far a meno del petrolio come combustibile, ma non sarà in grado di sopravvivere senza gli idrocarburi nel campo della chimica, petrolchimica e farmaceutica. Ovviamente tutti noi nel campo professionale e umano abbia fatto scelte razionali con prudenza e conoscenza e continueremo coscientemente su questa strada.

Le vere buone notizie da Parigi vengono dall’iniziativa di un gruppo di scienziati, economisti e uomini d’affari britannici e dalla coalizione di imprenditori guidata da Bill Gates (Breakthrough Energy Coalition, Bec), che puntano a rendere più competitive le energie che non producono gas serra. I primi prevedono un programma di R&D paragonabile per ambizioni a quello che portò allo sbarco sulla Luna. Un programma Apollo globale per l’energia è stato proposto da sir D. King (rappresentante dell’UK al CoP21), J. Brown, A. Turner e N. Stern (autore dell’omonimo rapporto sugli effetti catastrofici del cambiamento climatico). Per i secondi, Bill Gates ha annunciato a Parigi l’intenzione di raddoppiare i suoi investimenti nell’innovazione per energie pulite, portandoli a 2 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni. La proposta del programma Apollo globale presentato al “ Sustainable Innovation Forum”, tenuto a Parigi durante i lavori della CoP21, punta alla ricerca e sviluppo di tecnologia “low-carbon”: solo i progressi della scienza e della tecnologia potranno accelerare la transizione da un’economia ad alta densità di carbonio a una neutra come nell’era pre-industriale, come auspica il premio Nobel George Olah in “The Methanol Economy”.

 

Bibliografia Essenziale

–  Adoption of the Paris agreement, United Nations-unfccc

unfccc.int/resource/docs/2015/cop21/eng/l09r01.pdf

–  J. E. Stiglitz, “La globalizzazione che funziona”, pag. 205, Enaudi Editore, Torino, 2006

–  D.J.C. Mackay, P. Cramton, A. Ockenfels,S. Stoft,”Price carbon – I will if you will”, Nature,

Vol  526, 15 October 2015

www.nature.com/news/pricecarbon-i-will-if-you-will-1.18538

–  blueshift.nu/10-fragor-ban-ki-moon-cop21-pcc-fragor                                                http://blueshift.nu/10ban-ki-moon-cop21-pcc15/

 

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