I limiti della crescita

4 Ottobre 2015
Qualche giorno fa la Corte Suprema neozelandese ha respinto la richiesta di un signore, Ioane Teitiota, che aveva chiesto l’asilo politico per motivi climatici. Il primo caso al mondo. L’uomo proviene dall’arcipelago di Kiribati, i cui atolli, 6 metri sul livello del mare (Oceano Pacifico), rischiano di essere sommersi a causa dell’innalzamento delle acque. Sembra che i giudici neozelandesi non abbiano voluto creare un precedente, visto che l’innalzamento del livello del mare e la desertificazione di grandi aree del pianeta, dovuti al riscaldamento globale, spingeranno in futuro masse umane a cercare rifugio altrove.
Già altre masse umane stanno cercando rifugio in Europa per ragioni diverse da quelle addotte dalSig. Teitiota, ma altrettanto riconducibili ad un mondo che divora se stesso inseguendo una crescita senza limiti. Una crescita che implica la guerra per accaparrarsi le risorse e il danno, speriamo reversibile, all’ambiente.
Davvero si pensa di poter crescere all’infinito per dare lavoro e benessere ad una parte minoritariadegli abitanti del pianeta?
Nel 2015 l’overshoot day, il giorno in cui la domanda per risorse e servizi supera quella che la terra riesce a rigenerare in un anno, lo abbiamo avuto il 13 agosto. Nel 2003 lo avevamo il 22 settembre,
nel 1993 il 21 ottobre.[1]
Se continuiamo così il consumo delle risorse sarà una retta che crescerà
all’infinito, sia pure con diseguaglianze insopportabili fra le popolazioni della terra. Ogni anno accumuliamo un debito inestinguibile verso le future generazioni e ci sarà un punto oltre il quale il rimedio sarà impossibile.
Recentemente ho sentito Gustavo Zagrebelsky citare il libro di Jared Diamond, dal titolo: “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere (Torino, Einaudi, 2005)
Il libro delinea la parabola dell’Isola di Pasqua, scoperta dagli europei nel 1722. Era stata rigogliosa, ricca di cibo sufficiente per nutrire alcune migliaia di persone. Nel 1864 alcuni mercanti europei, sbarcando lì per fare affari, trovarono solo 111 abitanti denutriti e geneticamente degradati. La vita nell’Isola era statadistrutta dalla miopia dei suoi abitanti che l’avevano deforestata. L’Isola di Pasqua potrebbe essere
l’apologo di come le società possono autodistruggersi. E se per i pochi abitanti rimasti sull’Isola di Pasqua poteva esserci una speranza di salvezza via mare sulle navi dei mercanti, non credo che, per
gli abitanti della terra, ci sarebbe una navetta per Marte.
L’altro corno della crescita senza limiti, dicevamo, è l’inquinamento. Nel 2014 le emissioni globali di CO2 sono state pari a 32,2 Miliardi di Tonnellate [2] e, per la prima volta dopo 40 anni, non sono
cresciute nonostante che il PIL mondiale abbia avuto un incremento del 3%. I risultato è dovuto certo ai nuovi limiti stabiliti dall’Unione Europea e all’atteggiamento virtuoso indotto dall’accordo
Stati Uniti – Cina, ma soprattutto dalla diversificazione delle fonti che ha visto la crescita delle rinnovabili e il contenimento delle fossili. Pare di capire che i successi si ottengano non tanto intervenendo con la tecnologia (non risulta che i tentativi di cattura dell’anidrite carbonica abbiano avuto risultati significativi) quanto cambiando il paradigma della produzione del’energia.
Dobbiamo riconoscere che c’è stata una forte sottovalutazione, probabilmente interessata, del ruolo delle energie rinnovabili e dell’efficientamento energetico.
Non capisco quindi chi continua ad avere un atteggiamento ostile verso le nuove frontiere che si possono aprire e sostiene, in modo poco creativo (non voglio dire ideologico) e acritico ogni investimento per l’uso dei combustibili fossili. Ovviamente non penso che i combustibili fossili devono essere abbandonati: hanno un ruolo fondamentale e lo avranno ancora nel futuro prossimo.
Tuttavia si dovrebbe avere un atteggiamento equilibrato, che da un lato dedichi le risorse sufficienti al mantenimento della quota strettamente necessaria di idrocarburi nella fase di transizione e dall’altro investa molto per lo sviluppo delle foni rinnovabili.
I consumi primari in Italia sono in costante calo da anni con un trend che è passato dai 197.776 ktep del 2005 (anno in cui c’è stato il picco) ai 171,06 ktep del 2013. Questi consumi sono stati soddisfatti, nel 2013, per il 68% da gas e petrolio mentre il contributo delle rinnovabili è stato del 18 %.
Riepilogando:
– è fondamentale tendere ad una crescita diversa dall’attuale che contempli l’uso parsimonioso delle risorse;
– è imprescindibile, le emissioni di CO2 si possono ridurre solo diminue
ndo l’uso dei combustibili fossili;
– i consumi primari sono diminuiti e non risulta previsto un loro significativo aumento anche in presenza di una apprezzabile crescita del PIL;
– i maggiori sforzi sia in termini d’investimenti produttivi, sia per quanto riguarda la ricerca vanno compiuti per far crescere le rinnovabili e per l’efficientamento energetico.
Perché allora insistere a sostenere altre trivellazioni in Italia? Perché non mettere sul piatto dellabilancia anche il danno che ci sarà per l’ambiente per le altre economie naturali del nostro Paese?
Non mi considero un ambientalista (nell’accezione che viene data a questo termine), così come non mi consideravo un nuclearista quando, negli anni ’70, sostenevo una crescita controllata del nucleare. Penso solo che dobbiamo ragionare in modo pragmatico, evitando, su questioni così serie,di schierarci magari in virtù dei nostri percorsi professionali.
Mi piacerebbe che la nostra Associazione non corresse il rischio di diventare un salotto buono, dove trovano ospitalità solo le voci conformiste; vorrei  fosse una mente lucida che offre il suo contributo
critico e indipendente al dibattito sull’energia, sull’ecologia, sull’economia.

[1] Fonte: Grobal Footprint Network

[2] Fonte: IEE

[3] Fonte: Bilancio Energetico nazionale
Evaldo Bartaloni

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